L’attività di riscossione delle imposte, in Italia, è oggi affidata all’ente pubblico economico «Agenzia delle Entrate – Riscossione» mentre, prima del 2015, veniva svolta da concessionari privati.

L’art. 17 del D.Lgs. n. 112/1999 stabilisce la remunerazione della suddetta attività nella misura di un aggio calcolato in percentuale sulle somme iscritte a ruolo riscosse.

Ebbene, in una cartella di pagamento ricevuta nel 2014 da un ente a partecipazione pubblica, relativa ai periodi di imposta dal 1998 al 2001, sono stati addebitati € 188.838,07 a titolo di aggio di riscossione. L’importo è stato calcolato alla luce della disposizione del predetto art. 17, D.Lgs. n. 112/1999, che, nella versione vigente ratione temporis, applicava «un aggio pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che è a carico del debitore:

a) in misura del 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. (..)

b) integralmente, in caso contrario».

Considerato l’elevato importo addebitato a titolo di aggio di riscossione, l’ente ha deciso di presentare ricorso alla Commissione tributaria di competenza. Ed invero, esso ha sollevato una questione di legittimità costituzionale della norma applicata, ovverosia dell’art. 17 D.Lgs. n. 112/1999.

Vediamo ora, in breve, i motivi a supporto di tale incostituzionalità.

Secondo quanto sostenuto dal ricorrente, poi confermato dalla stessa Corte Costituzionale, la disposizione contenuta nell’art. 17, D.Lgs. n. 112/1999, è in contrasto con i principi tutelati dagli art. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della nostra Costituzione.

In primo luogo, la norma non rispetta il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, sancito dall’art. 3 della Costituzione, poiché individua un compenso in misura percentuale senza stabilire una soglia minima e/o massima e ciò «non consente di commisurare la remunerazione al costo effettivo del servizio». Infatti, applicando la norma in esame, per lo svolgimento dello stesso servizio – e quindi a parità di costi – può essere riconosciuto un compenso molto elevato, se si tratta  di riscuotere cartelle di ingente valore, o quasi nullo, se si tratta di richiedere il pagamento di importi ridotti.

A fortiori, la legge delega n. 339/1998, a cui ha fatto seguito il D.Lgs. n. 112/1999, aveva evidenziato la necessità di un «riordino della disciplina della riscossione (…) con (..) la previsione di un sistema di compensi collegati alle somme iscritte a ruolo effettivamente riscosse, alla tempestività della riscossione e ai costi della riscossione». Pertanto, la disposizione dell’art. 17 si pone in contrasto anche con il principio di delega sancito dall’art. 76 della nostra Costituzione.

In secondo luogo, la norma viola il principio di riserva di legge, statuito dall’art. 23 della Costituzione, secondo cui qualunque prestazione patrimoniale può essere imposta solo «in base alla legge». E nel caso in esame ciò non si realizza poiché nessuna disposizione di legge individua in modo puntuale le attività degli agenti di riscossione, presupposto della prestazione patrimoniale imposta dall’art. 17, ed il relativo costo di esecuzione, necessario per quantificare l’importo dovuto a titolo di aggio.

A ciò si aggiunge che l’art. 17 viola anche il successivo art. 24 della Costituzione – che tutela il diritto alla difesa – proprio perché in nessun documento vengono indicati gli atti esecutivi remunerati dall’aggio pagato dal singolo contribuente, impedendo così qualunque valutazione di proporzionalità.

Vero è che la mancanza di indicazioni delle effettive attività svolte, e del relativo costo, contrastano anche con i principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 cost.).

Da ultimo, l’ente ricorrente ha sollevato che la norma in esame è altresì in conflitto con l’art. 53 della Costituzione che sancisce il principio di capacità contributiva. Esso stabilisce che «tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva», ovverosia della propria redditività. Orbene, poiché l’art. 17 vincola il calcolo dell’aggio all’importo delle imposte dovute, il contribuente concorre alle spese pubbliche in ragione del proprio debito tributario e non in base al proprio reddito e «mai possono i debiti essere indici di ricchezza».

Alla luce delle osservazioni proposte dal ricorrente, la Commissione Tributaria Provinciale di Venezia, nell’ordinanza n. 566 del 29 marzo 2019, ha dichiarato «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale», disponendo la trasmissione immediata degli atti alla Corte Costituzionale.

Quest’ultima, nella recente sentenza n. 120 del 10 giugno 2021, sulla base della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione1, ha riconosciuto che l’aggio deve essere finalizzato «a 1 Corte di Cassazione, sezione quinta civile, sentenza n. 27650 del 3 dicembre 2020; Corte di Cassazione, sezione quinta civile, sentenza n. 3416 del 12 febbraio 2020; Corte di Cassazione, sezione quinta civile, sentenza n. 8714 dell’11 magio 2020. coprire i costi complessivi del servizio e assume natura retributiva e non tributaria trattandosi del compenso per l’attività esattoriale».

Nondimeno, la Corte ha evidenziato che il costo del servizio di riscossione viene suddiviso tra tutti i contribuenti non in regola con gli adempimenti fiscali, senza distinguere i contribuenti “morosi” da quelli “solventi”, ovverosia coloro che pagano gli importi dovuti entro sessanta giorni o assolvono l’esecuzione provvisoria, in caso di avvio del contenzioso.

Pertanto, secondo i giudici «tale remunerazione deve restare coerente con la sua funzione e non assumere un carattere arbitrario, come invece può verificarsi nel caso (..) di eccessiva entità del costo del non riscosso addossato al contribuente “solvente”».

La Corte ha perciò affermato l’«inadeguatezza dei meccanismi legislativi della riscossione coattiva nel nostro Paese» e la conseguente necessità di riformarli.

Tuttavia, la stessa Corte ha osservato che sussistono diverse modalità con cui realizzare tale riforma, ma la scelta è stata rimessa alla discrezionalità del legislatore.

La causa è stata ora riassegnata nuovamente in CTP generando così una situazione paradossale: la decisione dei giudici della Commissione Tributaria Provinciale dovrà/potrà basarsi su una norma (l’art. 17 D.Lgs. n. 112/1999) i cui profili di illegittimità costituzionale sono stati riconosciuti dalla Corte Costituzionale?

Rimaniamo a disposizione per ogni chiarimento. 

W&C – Consulenza d’Impresa (info@consulenzadimpresa.net)

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